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“Al lavoro malata, non ho diritti”. Polemica sull’sms di Meloni

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Messaggio della premier al deputato Osnato ospite di Radio1. La dem Schlein: “Così delegittima i sindacati”

La premier italiana Giorgia Meloni alla Puskas Arena di Budapest EPA/SZILARD KOSZTICSAK HUNGARY OUT
 

(di Giovanna Vitale – repubblica.it) – ROMA — «Come sto? Male in verità, ma non avendo particolari diritti sindacali sono a Budapest per il Consiglio europeo a fare il mio lavoro». Dalla trasferta ungherese Giorgia Meloni risponde per via indiretta a Un giorno da pecora, vergando un whatsapp tracimante scontentezza per la vita difficile che le tocca fare da capo del governo in carica, priva delle tutele e delle garanzie invece accordate ai comuni mortali.

Accade che, ospite su Radio1, ci sia Marco Osnato, responsabile economico di FdI. I due ribaldi conduttori, Giorgio Lauro e Geppi Cucciari, lo invitano a scrivere un sms alla presidente del Consiglio per sapere come si senta, visto che 48 ore prima aveva annullato — causa influenza — il previsto incontro con le parti sociali sulla legge di Bilancio. Nel giro di un quarto d’ora, lei replica stizzita sulle sue prerogative negate. Messaggio letto testualmente dal deputato, con grande scorno della diretta interessata, che va su tutte le furie: non solo la discovery non era stata autorizzata, ma finisce per complicarle il già tormentato confronto sulla manovra.

E infatti: il Pd parla subito di «arroganza e protervia». Persino in maggioranza qualcuno s’indigna. Mai però quanto Elly Schlein, che dopo aver denunciato «l’attacco gravissimo della destra al diritto di sciopero» proclamato da Cgil e Uil, deplora «la battuta di scherno di Meloni» sui suoi mancati diritti sindacali. «La smetta di fare la vittima», intima la segretaria dem, «le vittime qui sono quei milioni di lavoratori che le scelte del suo governo stanno rendendo più fragili e ricattabili: negando il salario minimo, estendendo i contratti a termine e i voucher, liberalizzando il lavoro somministrato». Tanto più inaccettabili perché figlie del «clima di scontro e di delegittimazione delle organizzazioni sindacali fomentato dall’esecutivo». Contro cui il Pd continuerà a battersi, restando «al fianco dei lavoratori e di chi li rappresenta». Un modo per delimitare il campo, indicare il lato della barricata che s’intende difendere.

D’altronde non è un caso se due storiche leader sindacali siano state elette senatrici con il suo partito. Entrambe irritate dalla sortita meloniana. «Siccome i diritti sindacali, se vuole, ce li ha anche lei, la premier si metta in malattia se non sta bene», attacca Susanna Camusso, ex segretaria Cgil. «E mentre lo fa si ricordi dei tanti lavoratori che invece non li hanno e provi a rimediare. La verità è che non sa di cosa parla. Invece di guardare solo a sé stessa, provi a capire come sta davvero chi lavora in questo Paese». Concorda Annamaria Furlan, già al vertice della Cisl: «Dall’affermazione di Meloni si capisce che non conosce il mondo del lavoro, che fra l’altro ogni giorno conta morti e infortuni e avrebbe bisogno di interventi seri, non di battute a sproposito». Inferocita per il trattamento riservato ai sindacati: «A mia memoria è la prima volta che vengono convocati dopo che la manovra è stata depositata alla Camera. Un messaggio chiaro sul valore che si dà alle parti sociali». Impietoso anche Cesare Damiano, ex ministro del Lavoro nel Prodi II: «Per fortuna in Italia quando ci si ammala si può restare a casa. Se poi si decide di lavorare partendo per Budapest, forse si sarebbero potuti incontrare pure i sindacati a Roma. Non sfugge a nessuno che questo governo non crede al dialogo sociale».

Più cauta, ma non meno infastidita, la forzista Renata Polverini, già alla guida dell’Ugl: «Io che ho ricoperto un ruolo istituzionale molto meno gravoso, comprendo lo sforzo di Giorgia, però mi dispiace perché lei, che è una donna della destra sociale, quando parla dei diritti sindacali dovrebbe riflettere sul fatto che sono stati conquistati in anni di lotta e a tutela di chi spesso fatica tanto e guadagna poco». Dopodiché, concede l’azzurra, «a Un giorno da pecora si sa che si scherza, forse si è trattato di una battuta poco riuscita». Attenuanti che tuttavia non cancellano la figuraccia.


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