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Se l’ansia di vittoria cancella ogni divieto

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Un'immagine di Odessa bombardata da un missile russo che ha colpito un'area residenziale

(Domenico Quirico – lastampa.it) – Sapete cosa resterà della guerra nel Donbass e a Kursk tra dieci, venti anni? Memorie di glorie eroismi manovre fulminanti e penose ritirate? Niente di tutto questo. Resteranno i campi minati, mille campi di tenebre accanto all’altra orribile immondizia della guerra. Quando i trattori areranno i campi di grano in autunno e primavera verranno alla luce elmetti armi brandelli di uniformi piastrine di riconoscimento obici di cannone e bombe di aereo. E soprattutto mine, mine anticarro ed antiuomo.

Questa è l’eredità di quando una storia finisce e forse già si parlerà di nuove guerre e di nuove crisi; la fine riserva queste memorie e questi oggetti dimenticati sul palcoscenico di uno spettacolo concluso. I funebri arredi della guerra. Ma non tutti saranno cimeli inerti. Con le mine la guerra realizza, annullando il tempo, la sua losca perfezione, l’ecatombe degli uomini giusti, il massacro degli innocenti.

Sotto le macerie delle città, il fogliame caduto delle foreste, la sabbia dei deserti questi diabolici arnesi continuano a restare in agguato nel suolo, pronti a scatenare una morte invisibile e ancor più atroce perché coinvolgerà civili che credono di aver trovato il tempo della pace. Come in Vietnam, in Iraq, in Libia, in Afghanistan, in Siria. ..

Una parte di quelle mine con cui sono state arate le campagne avranno la scritta «made in Usa» e allungheranno le terre di Caino su un fronte molto più largo. Sono le mine che il presidente Biden ha concesso agli ucraini da spargere davanti alle loro linee difensive e da lanciare sul territorio di Kursk precariamente occupato. La perdita del potere lo ha travolto nel lucido delirio di un re Lear che vuole prolungare un segno al di là di se stesso, una follia avventurosa e malefica che ipoteca il futuro, una eredità di Armageddon: missili micidiali e mine… La guerra contro Putin non l’ha vinta, ormai è un patetico ex, ma lavora perché quella guerra continui. Da oggi a gennaio ci saranno forse altre micidiali sorprese. Una decisione presa dopo anni di cautele, in un clima di umiliazione e isterismo morale, non una iniziativa militare calcolata ma espressione di un amor proprio ferito.

I russi le hanno largamente utilizzate per la Maginot con cui hanno spezzato la fallita controffensiva di Zelensky. Avremmo desiderato che questo capitolo confermasse, anche nei mezzi usati, il racconto di una guerra tra luce e tenebre, illuminismo e barbarie, tra diritto e brutale prevaricazione. Poi constatiamo che tra gli oltre cento Paesi che hanno firmato l’accordo di messa al bando delle mine mancano tre nomi: Russia Ucraina e Stati Uniti. Come per le corti di giustizia internazionali: non aderisco, voglio avere le mani libere…

Poiché tutto ciò che è ignobile ama circondarsi con i veli della ipocrisia il segretario alla Difesa americano ha puntualizzato che agli ucraini dovrebbero esser forniti ordigni «non persistenti», ovvero che diventano inerti dopo un periodo di tempo prestabilito. Il timer della morte ovviamente non viene precisato. La tecnologia invocata in soccorso alla pulsione bellicosa, il diaframma della modernità, l’ammanta di giustificazioni, di vie di fuga. «Non saprei neppure immaginare che gli americani…». La commedia continua.

Mentre soffia l’alito incandescente di un conflitto nucleare, se credete che in guerra per democrazie e tirannidi l’unica legge non sia la necessità di vincere che cancella ogni divieto, Biden vi ha smentito.


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