Capodelegazione a Strasburgo – “Sono grato a Grillo, ma non doveva usare cavilli. Il quorum? Ce la faremo”

(Di Luca De Carolis – ilfattoquotidiano.it) – In Europa la distanza dal Pd assomiglia a un fossato. Anche se i dem saranno i probabilissimi alleati del M5S a trazione contiana. “Con il nostro no a questo mega-inciucio sulla commissione Von der Leyen, noi Cinque Stelle abbiamo dimostrato cosa significa essere progressisti indipendenti, anzi popolari, nel senso della vicinanza alla gente”, sostiene il capodelegazione Pasquale Tridico.
Il vostro no dimostra la vostra indipendenza dal Pd?
No. Essere indipendenti significa essere coerenti con le nostre idee su pace, giustizia sociale e transizione ecologica, votando contro la commissione più a destra della storia della Ue.
Voi coerenti, dice. Invece i dem?
Non basta dire che si è contro le destre. Bisogna dimostrarlo con i voti e le azioni concrete. Gli amici del Pd hanno fatto una scelta diversa dalla nostra. Ora mi chiedo cosa ne sarà del green deal, solo per citare un dossier.
In una lettera, il gruppo dei Socialisti&Democratici e Renew Europe “deplorano” la nomina di Raffaele Fitto come vicepresidente.
È uno specchietto per le allodole, che non cancella ambiguità e contraddizioni. Innanzitutto quelle di Giorgia Meloni, che non aveva sostenuto Von der Leyen. E poi quelle di S&D, di cui il Pd fa parte. Il Parlamento è stato esautorato, con accordi nel segreto di alcune stanze.
L’ha colpita il nervosismo dei dem alla Camera per le parole di Chiara Appendino (“Stupisce vedere di nuovo Meloni e Schlein votare allo stesso modo”)?
Il nervosismo serpeggia anche qui a Bruxelles. La mia solidarietà a Chiara, che ha parlato di fatti e non di opinioni.
Non è il miglior inizio di coabitazione nel campo progressista, no?
Noi portiamo avanti proposte popolari, e in Europa votiamo sempre nello stesso modo con Avs. Con il Pd c’era e ci sarà un confronto costante, ma le loro proposte a volte sono più ambigue rispetto alle nostre. Poi gli ambigui saremmo noi che invitiamo Sahra Wagenknecht a parlare di pace e giustizia sociale.
State consolidando il rapporto con lei. Lo fate per definire un progressismo diverso da quello dei dem e dei socialdemocratici?
Non è questo il punto. Wagenknecht e Mélenchon sono le punte avanzate di un progressismo europeo con cui vogliamo confrontarci e con cui ci sono affinità.
Però con Wagenknecht fareste volentieri un nuovo gruppo. A giugno ci avevate provato…
Non è così. Noi ci troviamo benissimo nel nostro gruppo, The Left, e ci rimarremo anche in futuro.
Sull’Ucraina siete divisi.
Le differenze sulla guerra c’erano prima di formare il gruppo, e ne eravamo tutti consapevoli. Non a caso, abbiamo stabilito di muoverci tutti in sostanziale libertà sul tema. Ma su molti temi c’è intesa.
Come farete a darvi un’identità nel campo progressista così affollato?
Dobbiamo essere popolari, anzi populisti, nella migliore accezione del termine. Esiste un populismo economico a cui tendere. Le cito l’intervento del premio Nobel Joseph Stiglitz alla nostra assemblea di domenica, in cui ha parlato di come lavorare per l’uguaglianza e la coesione sociale.
Il duello tra Giuseppe Conte e Beppe Grillo non è ancora finito. Non si poteva evitare arrivando a una mediazione?
Lo avrei sicuramente preferito. Nutro gratitudine e rispetto per Grillo, ma poteva portare una proposta politica alla Costituente, anche di minoranza, confrontandosi. Invece ha scelto di aggrapparsi a dei cavilli giuridici che non appartengono alla storia del M5S.
Se non si toccasse il quorum nel secondo voto sul garante, Conte dovrebbe dimettersi?
Penso che raggiungeremo sicuramente il quorum. Avevo timori prima di sabato, quando si è arrivati alla quota della maggioranza assoluta con un giorno di anticipo sulla fine della prima votazione. Ma abbiamo portato al voto quasi 55 mila persone, uno straordinario esperimento di partecipazione. La nostra base tornerà al voto, anche in misura maggiore, per dare ancora fiducia a questo progetto.