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La partita avvelenata degli eterni numeri 2

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L’ultima zuffa è il logico approdo degli screzi che si moltiplicano da mesi. Il cambio di passo di Meloni ha tolto agli alleati il ruolo che immaginavano

La partita avvelenata degli eterni numeri 2

(Flavia Perina – lastampa.it) – Ma s’io avessi previsto tutto questo… Chissà quando arriverà l’Avvelenata di Giorgia Meloni, chissà se è già arrivata. Nel giorno felice delle fanfare europee, con il sì a Raffaele Fitto, l’ingresso in Commissione dalla porta principale, con l’obbligato placet del Pd e la smentita del romanzo “Giorgia agente del caos” sviluppato per due anni dalle opposizioni, ecco qui. L’alleato 1 manda sotto il governo per far vedere chi comanda all’alleato 2, l’alleato 2 ricambia il dispetto. Doppia bocciatura in Senato. Il giorno delle fanfare diventa la giornata del primo serio screzio in una maggioranza che solo una settimana fa giurava di essere la più solida di sempre.

Trovare il nocciolo dello scontro oltre i motivi occasionali – un modesto taglio al canone Rai, un codicillo in favore della sanità calabrese – è complicato. C’è un Matteo Salvini che si avvicina al congresso e dopo le batoste alle Regionali, il congelamento dell’Autonomia, i niet incassati sul terzo mandato di Luca Zaia, la fuga dalla Lega dei siciliani, dei pugliesi, dei laziali, con il tramonto del progetto di Lega nazionale, deve portare ai suoi qualcosina. O almeno l’idea di contare qualcosina quando si parla di manovra. C’è un Antonio Tajani ancora bruciacchiato dalla legge di bilancio dello scorso anno, quando Marina Berlusconi sanzionò pubblicamente l’accondiscendenza di FI sugli extraprofitti bancari, gasato dal sorpasso alle Europee sulla Lega, deciso smentire l’immagine che Maurizio Crozza gli ha cucito addosso satireggiandolo come un maggiordomo che apparecchia la tavola per altri.

La zuffa in Senato di ieri è il logico approdo di screzi che si moltiplicano da mesi. Piccolo elenco. Banche: Tajani intima a Giancarlo Giorgetti di «non immischiarsi» in affari che non riguardano la politica, il Mef replica parlando di un contrasto “sistemico”. Autonomia: Roberto Calderoli dopo la sentenza della Consulta chiede l’avanti tutta, Tajani risponde: stop, torniamo in Parlamento. Alleanze: Salvini spara mortaretti per la vittoria del Fpo austriaco, Tajani chiede ai popolari di escluderlo dal governo. Servizio militare obbligatorio: Salvini presenta la proposta, gli azzurri la liquidano come boutade elettorale. Ius Culturae, storia nota. Rai, nomine e canone, altra storia nota. Relazioni europee: per Tajani «porte chiuse a forze di estrema destra incompatibili con noi come lepenisti in Francia o Afd in Germania», Salvini ci fa un gruppo insieme. Mandato della Corte Onu contro Beniamin Netanhyau: per Salvini resta «benvenuto in Italia», Tajani replica: misura le parole, la politica estera la faccio io. Persino sulla classifica del consenso non ci si trova. Tajani ieri: «Che siamo la seconda forza della coalizione lo dicono le Europee, guardate i numeri». La Lega: guardate l’ultimo sondaggio Swg, siamo 8,9% contro 8,7%, due decimali, niente di definitivo. Chissà quando arriverà l’Avvelenata di Meloni. Ne avrebbe buoni motivi visto che con il successo della sua leadership ha salvato due partiti esausti, uno stremato dalla scomparsa del fondatore e dalla perdita di ogni spinta propulsiva, l’altro affondato dalle mattane della stagione felpa&Papeete. Non solo. Restituendo a Lega e FI ministeri, incarichi, torte da spartire seppure in misura minore del passato, ha evitato in extremis che sprofondassero nell’irrilevanza, entrambi viziati da lunghissime esperienze di potere a Roma e sui territori, entrambi incapaci di reggere ulteriori traversate nel deserto. E forse proprio qui va cercato il nocciolo della faccenda, oltre le Regionali, l’Autonomia, i terzi mandati, oltre Marina Berlusconi o la potenziale, nuova concorrenza dei Moderati di Maurizio Lupi. Nell’incapacità di Salvini e Tajani di giocare da comprimari una partita che avevano interpretato come l’avvio di una rivincita anche personale. Salvini era abituato a considerare Giorgia Meloni una imitatrice e un’inseguitrice (come in effetti per molto tempo è stata) con cui competere e trionfare sul terreno a lui più favorevole: blocchi navali et similia, estremismo, sovranismo, cattivismo, trumpismo. Vittoria facile, pensava. Ora se la ritrova da un’altra parte, alleata di ferro di Ursula von der Leyen, interlocutrice dei Popolari, paladina degli equilibri di bilancio, e per di più ancora solida nel consenso. La gara a destra è in palese esaurimento e il Capitano ne ha ricavato ben poco oltre ai 500 mila voti di Roberto Vannacci (che medita pure di andarsene per conto suo). Anche Antonio Tajani confidava in quel tipo di competizione e si sentiva al sicuro come ago europeo della bilancia. L’uomo che poteva parlare al Ppe, il garante della destra, il mediatore principe, soprattutto dopo lo strappo di giugno che aveva visto Fratelli d’Italia votare contro il bis di Ursula. A Bruxelles era l’unico di casa, sei lustri eurodeputato, due volte Commissario, poi presidente del Parlamento e infine numero due dei Popolari. Insomma, era il suo gioco, e chissà quali cadeaux, quali contropartite! È stato scavalcato da una premier che ha trovato vie di dialogo dirette e per di più ha incoronato plenipotenziario Raffaele Fitto, uno degli ex-delfini di Silvio Berlusconi, l’uomo a cui Forza Italia diede addio dicendo: «Ci siamo tolti un peso». Ecco, in una immaginaria Avvelenata del centrodestra, dati causa e pretesto, c’è un dato di fondo di cui tenere conto: il cambio di passo di Meloni sull’Europa, sui bilanci, su tutto, ha tolto a entrambi gli alleati il ruolo che avevano immaginato per se stessi. Con lei non possono litigare, non ne hanno la forza, gli elettori non capirebbero, al governo ci tengono. Così litigano tra loro, un modo come un altro per dire: ricordatevi di noi, abbiamo ancora qualcosa da raccontare.


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