Differenze – Non solo armi: divisi pure su Rai, Netanyahu e sulle chat di “Open”
(Di L. D. C. e L. Giar. – ilfattoquotidiano.it) – Non è un caso che i toni tra Pd e M5S si alzino adesso. Quando sul tavolo c’è la politica estera, emergono le divisioni: sulle armi all’Ucraina e la commissione Von der Leyen adesso, su Israele in passato. Nervi scoperti dei fu giallorosa che più volte si sono separati in Parlamento, vanificando gli sforzi unitari su temi come l’autonomia differenziata e il salario minimo.
Ucraina. In questi primi due anni di legislatura i 5 Stelle hanno sempre detto no all’invio di armi italiane in Ucraina (gennaio 2023 e febbraio 2024), mentre il Pd ha votato a favore. Ogni volta che Giorgia Meloni ha riferito in aula prima dei vertici europei, le opposizioni hanno presentato risoluzioni diverse, coi dem che hanno sempre ribadito il sostegno militare a Kiev. Un mese fa, una risoluzione 5 Stelle chiedeva di non utilizzare armi degli Stati Ue in territorio russo: proposta bocciata dal Pd.
Israele. Lo scorso ottobre il Movimento ha presentato una risoluzione votata per parti separate in cui chiedeva di tassare gli extraprofitti delle industrie di armi, tema su cui il Pd si è astenuto. Nello stesso testo, i dem si sono astenuti sulla richiesta di sanzioni economiche e commerciali a Israele, mentre hanno votato contro la proposta 5S di richiamare gli ambasciatori Ue da Tel Aviv.
Mes. Tra le questioni europee c’è pure la ratifica della riforma del Salva-Stati, un insieme di norme da applicare ai Paesi in crisi. Un anno fa il Pd ha votato a favore della ratifica, mentre FdI, Lega e M5S hanno votato no. La maggioranza del Parlamento ha respinto la riforma.
Salva-Milano. Oltre alla voragine in politica estera, a separare Pd e 5S c’è pure qualche divergenza sugli affari interni. A partire dal cosiddetto Salva-Milano, la legge che sana i grattacieli milanesi (e non solo) dalle inchieste. Pd a favore, 5 Stelle contrari.
2×1000. L’intervento del Colle ha scongiurato un’altra rottura, stavolta piuttosto dolorosa. Viste le perplessità del Quirinale, la scorsa settimana la destra e il Pd hanno infatti ritirato un emendamento per far rientrare dalla finestra parte del finanziamento pubblico ai partiti, attraverso la distribuzione ai partiti della quota di 2×1000 per la quale i cittadini non esprimono preferenze sulla destinazione. Contrarissimi i 5 Stelle.
Salva-Renzi. A maggio 2024 il Senato ha respinto la richieste dei pm di Firenze di sequestrare la corrispondenza elettronica di Matteo Renzi relativa al processo Open. A far da scudo all’ex premier sono stati la destra e i dem, mentre il Movimento ha votato per autorizzare il sequestro. Un mese prima, stessa scena alla Camera: il Pd e la destra avevano negato l’utilizzo delle mail e delle chat di Francesco Bonifazi, Maria Elena Boschi e Luca Lotti.
Cda Rai. A settembre il Parlamento ha eletto quattro componenti del consiglio di amministrazione Rai. Il Pd ha scelto di non partecipare al voto, in protesta contro quella che ritiene essere “Tele-Meloni”. I 5 Stelle, insieme a Avs, hanno invece mandato in Cda Roberto Natale e Alessandro Di Majo, oltre ai nomi della destra Federica Frangi e Antonio Marano. “Noi siamo coerenti – aveva detto Schlein – sono altri che hanno cambiato posizione”. “Non capisco la decisione del Pd – la replica di Conte –. Il Cda del servizio pubblico deve essere presidiato dalle forze di opposizione. Questa legge l’ha fatta il Pd di Renzi”.
Mini-Csm. Simile al caso Rai è quello dell’elezione dei “mini-Csm”, ovvero gli organi di autogoverno della giustizia tributaria, amministrativa e contabile. Ad aprile 2023 il Pd si è sfilato, lamentando la scarsa attenzione per le opposizioni e il mancato rispetto delle quote rosa. Il Movimento ha votato, eleggendo tra gli altri Alfonso Bonafede come componente laico del Consiglio di presidenza della giustizia tributaria.