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Un italiano su due teme la guerra mondiale. Ma il 70% dei giovani snobba i missili di Putin

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Il 48% degli intervistati ha paura che il conflitto tra Russia e Ucraina si allarghi e coinvolga l’Europa. Nella fascia 18-24 anni la percezione cambia: il 50% pensa che le minacce di Mosca siano solo propaganda

(Alessandra Ghisleri – lastampa.it) – I conflitti internazionali stanno scuotendo e agitando gli animi delle persone in tutto il mondo. È un periodo turbolento che preoccupa per la situazione delle guerre e dei conflitti internazionali che stanno minando non solo la sicurezza nazionale, ma anche i sistemi economici, sociali e le stabilità politiche dell’intero globo. Le continue ostilità in Ucraina, iniziate nel 2022 con l’invasione russa, continuano a essere una fonte significativa di angoscia per l’opinione pubblica, che in maggioranza (con una media negli anni tra il 48,0% e il 52,0%) fin dall’inizio del conflitto non ha mai gradito l’invio di armi a Volodymyr Zelensky.

La guerra, iniziata interessando solo una parte di territorio nel cuore dell’Europa, oggi ha generato un impatto globale con ripercussioni su energia, economia e sicurezza. In tutto questo l’Italia, come parte della Nato e dell’Unione Europea, ha supportato l’Ucraina con sanzioni contro la Russia e aiuti militari e umanitari, ma questo nel tempo ha sollevato preoccupazioni riguardo a possibili escalation e impatti economici. Ad ogni comunicazione di Vladimir Putin l’opinione pubblica italiana sussulta. In parte lo «zar» russo ci ha abituato alle sue minacce nucleari, tuttavia, ad ogni suo richiamo si ha il tempo di riflettere sui diversi avvertimenti e comunque sempre un brivido percorre i nostri pensieri. Dopo il suo ultimo annuncio televisivo sull’utilizzo di altri razzi Oreshnik, un cittadino italiano su 2 (47,0%) ha affermato di essere molto preoccupato – sondaggio Euromedia Research per Porta a Porta -. L’uso di queste armi, con un sistema di lancio multiplo che possono ferire simultaneamente più obiettivi a lunga distanza, ha sollecitato molte paure per i potenziali danni collaterali e indiscriminati alle popolazioni civili. Per il 15,5% si tratta di semplice propaganda e per il 12,2% non è il primo missile – e non sarà l’ultimo – utilizzato in questo conflitto. Il 10,3% sente che la minaccia è lontana, mentre il 6,0% trova esagerati gli allarmismi e le enfatizzazioni sull’accaduto. Appare uno spaccato curioso dove il 44,0% della popolazione ostenta una certa indifferenza, a tratti beffarda verso gli avvenimenti, come se fosse ormai assuefatta o disconnessa dalle cruente cronache che giornalmente pervadono la nostra informazione. In questo target si concentra il 76,2% della generazione Z. Molti giovani oggi tendono a percepire i temi della guerra nel mondo come più lontani e distanti dai loro interessi, dal loro «raggio di azione». Sebbene le informazioni sui conflitti siano facilmente accessibili, la loro trasmissione avviene attraverso una serie di filtri mediatici che spesso enfatizzano gli aspetti più sensazionalistici, senza farli passare come esperienze dirette deflagranti e immediate. Sui social, ad esempio, la frammentazione e la brevità delle notizie veicolate possono distorcere la percezione della realtà lontana non fornendo una connessione emotiva forte, rendendo più difficile l’associazione con una comprensione più profonda delle dinamiche della guerra.

Dalla generazione boomer in poi (i nati dopo il 1946), la guerra è un concetto che, nella maggior parte dei casi, non è mai stato sperimentato in prima persona, se non «per sentito dire». Non vivendo in un Paese in guerra e non essendo mai stati direttamente minacciati da conflitti – se non da terrorismi interni -, risulta molto complicato apprendere appieno la realtà e le sofferenze che le guerre comportano. Sono appunto gli Over 65 i più sensibili alla preoccupazione (52,3%). Dall’ultimo rapporto Censis, presentato nella giornata di venerdì 6 dicembre, emerge come il 66,3% degli italiani incolpa l’Occidente (Usa in testa) dei conflitti in corso in Ucraina e in Medio Oriente e solo il 31,6% è d’accordo con il richiamo della Nato sull’aumento delle spese militari fino al 2,0% del Pil. L’opinione pubblica nazionale prende le distanze dalla guerra e dalle responsabilità, accusando le guerre di sottrarre risorse importanti alla nazione che potrebbero invece essere investite in maniera diversa e più utile per i cittadini. In merito a quanto sta accadendo, secondo i dati di Euromedia Research per Porta a Porta, un italiano su 2 (48,0%) teme che gli eventi dei diversi conflitti nel mondo si stiano indirizzando verso una guerra Globale-Mondiale. Lo stesso Papa Francesco disse: «Viviamo in una Terza Guerra mondiale combattuta a pezzi». In generale, la preoccupazione della gente riguarda la possibilità di un allargamento dei conflitti o di una loro intensificazione con coinvolgimenti maggiori anche per l’Italia e per l’Europa, il che potrebbe portare a nuovi sfollamenti, maggiore insicurezza, e impatti negativi non solo sull’economia. Tuttavia, anche in questo caso la percezione dei più giovani è distante dal dato nazionale. Infatti il 69,5% di coloro che hanno un’età tra i 18 e i 24 anni, a differenza di tutti gli altri, si dimostra più ottimista relegando i conflitti entro i loro limiti nazionali. La loro percezione è sicuramente influenzata dalla distanza geografica, dalla mediazione delle informazioni, dalla mancanza di esperienze dirette e da una sensibilità emotiva che può essere ridotta dalla saturazione informativa, tuttavia è necessario ricordare che non si può generalizzare perché molti sono i giovani coinvolti attivamente in movimenti per la pace e per i diritti umani. Tutti noi tendiamo a concentrarci su temi che percepiamo come più urgenti o rilevanti per la nostra vita e siamo convinti che le guerre nel mondo non ci appartengano perché «non le possiamo controllare». Così, anche le nostre paure e preoccupazioni sono mosse esplicitamente da quelle che potrebbero essere – solo – le ricadute sulla nostra quotidianità e tutto questo ci porta «a nostra insaputa», ad una totale lontananza dalla realtà della guerra, come se fosse un problema che non ci appartiene e a cui partecipiamo «per procura».


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