Domenica sera il risultato sul voto-rivoluzione nel Movimento. L’ex premier: «No rassemblement contro Meloni perché “è cattiva”». Schlein: «Testardamente unitari»

(di Claudio Bozza – corriere.it) – «Gli iscritti della nostra comunità hanno votato e deciso, purtroppo per lui, la defenestrazione del garante Beppe Grillo: evidentemente non accettano che ci sia una persona che dica cosa si può fare e cosa no». È l’ultima staffilata che Giuseppe Conte rifila al fondatore. L’ex premier, pur ribattendo (veleno con veleno) a Grillo, non aveva ancora mai usato un termine così duro, specie per il suo lessico compassato: «Defenestrato». Ma nella telenovela a 5 Stelle, schermaglie a parte, l’unica parola che conta davvero è solo una: «Quorum». Conte, per cacciare davvero di casa Grillo, ha infatti bisogno che alla votazione in corso partecipi il 50% più uno degli aventi diritto. La consultazione si concluderà oggi alle 22 e solo dopo la chiusura delle «urne online» si capirà se Conte avrà sconfitto o meno al secondo round Grillo, il quale, secondo i poteri a lui conferiti dallo statuto del Movimento 5 Stelle, aveva chiesto la ripetizione del voto che due settimane fa lo aveva già messo alla porta.
I fedelissimi di Conte, forti del 61,2% di affluenza raggiunta due settimane fa, danno per scontato che il quorum venga di nuovo superato senza problemi. Già ieri sera, secondo fonti vicine a Conte, era stata oltrepassata la soglia dei 40 mila votanti, quindi a un soffio dai circa 45 mila necessari per «vincere».
Nel frattempo, Conte allontana lo spettro di una scissione di Grillo: «Direi di no — spiega il leader a Sky Tg24 —, perché obiettivamente la situazione è evidente: il garante non riconosce il percorso della comunità degli iscritti, e si è contrapposto a gamba tesa alla sua stessa comunità». Mentre l’ex sindaca di Roma Virginia Raggi, data come regista di uno strappo interno, smentisce le indiscrezioni: «Non esistono mie ipotetiche scalate, cordate, tavolate: è tutto falso». Ancora più distante il «grande ex» Alessandro Di Battista: «Parlare di questioni interne al Movimento, che ho lasciato quattro anni fa per profondi disaccordi politici, mi annoia. Specie mentre c’è in corso una Terza guerra mondiale».
Davanti a un quadro politico rapidamente mutato nelle ultime settimane, in cima all’agenda di Conte c’è anche la necessità di provare a posizionare concretamente il suo partito nel centrosinistra. Prima dice: «Mi piacerebbe che, in Europa, il gruppo più che Left si chiamasse progressista. Vogliamo incidere, ci lavoreremo». E poi, dopo le polemiche che lo hanno bersagliato per i suoi no agli armamenti all’Ucraina, tiene a sottolineare: «Noi facciamo politica in modo serio e responsabile, non siamo mai stati filoputiniani».
Sulla bussola contiana, superato lo scoglio quorum, si ripresenterà però subito il tema delle alleanze. Andare a braccetto con il Pd o no? Nei giorni scorsi, Conte aveva detto: «Se si votasse oggi, andremmo da soli alle elezioni». Ma in cuor suo sa bene che sarebbe una strada piuttosto ardua. Per provare a battere la destra, numeri di tutti i sondaggi alla mano, l’unica soluzione appare quella di un campo largo che unisca Pd, M5S, Avs ma anche pezzi di centro. Ed è proprio questa la stella polare di Elly Schlein: «Bisogna essere testardamente unitari e molto consapevoli del nostro ruolo come prima forza di opposizione — dice la segretaria del Pd alla conferenza programmatica del partito abruzzese —, per costruire un’alternativa a questa destra. Ce lo chiedono le persone che incontriamo». La replica di Conte non tarda ad arrivare: «Il dialogo c’è, ma dico no a un rassemblement contro Meloni perché lei “è cattiva” — e per me è incapace —, noi non ci stiamo». E poi: «Noi vogliamo sapere cosa si va a fare e decideremo sulla base solo di un accordo preciso, perché di fraintendimenti se ne sono già creati in passato», conclude intervistato ad Accordi e disaccordi.