Apprendiamo dalla lenta prosa di Ernesto Galli della Loggia, ieri sul Corriere, che considerare criminali i crimini di guerra è ingenuità in superficie, debolezza […]

(Di Pino Corrias – ilfattoquotidiano.it) – Apprendiamo dalla lenta prosa di Ernesto Galli della Loggia, ieri sul Corriere, che considerare criminali i crimini di guerra è ingenuità in superficie, debolezza nella sostanza. Un combinato disposto ideologico che in realtà serve alla fiacca “opinione pubblica europea” a coprire “la sua imbelle disposizione non già alla pace, quanto all’essere lasciata in pace”. Giacché seguendo quella fiacchezza si arriverebbe a sostenere che ogni guerra “in quanto tale” è “un crimine di guerra”. Cosa che il professore, una vita trascorsa tra i cuscini delle sudate carte dentro ai tepori di una vita ben garantita dalla pace, distantissima dal fuoco e dalla polvere dei bombardamenti, dai crampi acidi della fame, dal colpo d’occhio su un bambino bruciato dall’acido, su una donna sfigurata dalle torture, non può lontanamente ammettere. Anzi. È proprio scannandosi a vicenda che la civiltà dei maschi umani è progredita. Altro che baloccarsi sulla presunta “inutilità della guerra”, che al contrario è il fatto “storicamente più produttivo di conseguenze”. Al diavolo i suoi danni collaterali, i milioni di vittime innocenti. Lo scrive a ciglio asciutto e in piena consapevolezza, visto che sullo studio di quelle conseguenze il professore guerriero ha fondato, di divano in divano, l’intero albero della sua vita, radici identitarie e fronde editoriali comprese. Vana fatica, verrebbe da dire, per averne tratto così storto insegnamento.
Vergognandosi almeno un po’ di sostenere tali enormità, Ernesto Galli impiega le prime venti righe di questo apologo al cinismo e alla crudeltà “del mondo così com’è”, intrecciando qualche scusa preventiva – “del diritto internazionale conservo solo qualche reminiscenza”, scrive – per poi offrire il petto alle intemperie della critica poiché “il dibattito ha bisogno anche di voci dissonanti”. Senza neppure sospettare, dopo i mille e mille anni di guerre che “le voci dissonanti” cantano l’esatto opposto del suo inno funebre.