
(di Francesco Bei – repubblica.it) – Daniela Santanché, rinviata a giudizio per falso a bilancio, potrebbe essere arrivata alla fine della sua lunga corsa politica. Fratelli d’Italia, il partito che l’ha fatta eleggere e l’ha portata al governo, si prepara a scaricarla. E del resto non si comprende come Giorgia Meloni possa ancora mantenerla in un ministero in pendenza di accuse così gravi. Ma se il futuro immediato pare segnato, non è detto che la “Pitonessa” non riesca a sfangarla anche questa volta, cambiando un’altra pelle come i veri serpenti.
Imprenditrice anzitutto di se stessa, Daniela Garnero in Santanché, ragazza di Cuneo, ha preso la rincorsa dalla provincia italiana per finire protagonista — nel bene e anche nel male — della politica italiana del ventennio berlusconiano. La persona è diventata subito personaggio e questo epilogo giudiziario, se manca di qualcosa — oltre alla parola dimissioni — difetta anche di una certa sfrontatezza e grandeur alla quale Santanché aveva abituato il suo pubblico. Da una che rispose con il dito medio ai contestatori davanti a Montecitorio, forse ci si poteva aspettare di più che un imbarazzato silenzio. Donna di potere con il vizio degli affari, donna alfa che cambia gli uomini — dal chirurgo Paolo Santanché a Canio Mazzaro, da Sallusti al falso principe Dimitri Kunz d’Asburgo-Lorena — ma poi spesso se li tiene intorno come soci nei suoi consigli d’amministrazione. Donna che, oltre agli uomini, cambia anche molti partiti. Con il rischio di dimenticarne qualcuno, nell’ordine sono: Alleanza nazionale, la Destra di Storace (che la candida addirittura a premier nel 2008) e poi il Pdl con Berlusconi, ma prima aveva fondato un partitino-taxi chiamato Movimento per l’Italia, tenuto a battesimo da Denis Verdini, e quindi Forza Italia, per poi fondare un altro partitino-taxi chiamato Noi Repubblicani/Popolo Sovrano, per confluire nel 2017 in Fratelli d’Italia. E ogni volta è una palingenesi, ogni volta è una tiritera contro il «traditore» per eccellenza, Gianfranco Fini. «Sono qui — sottolinea passando alla Destra — perché non potevo più subire le posizioni di chi per legittimarsi agli occhi della comunità finanziaria-mediatica arriva a giudicare il fascismo come il male assoluto». Trascorrono dieci anni e, accolta in FdI, riattacca la stessa canzone: «Sono tornata a casa, nella mia famiglia, dove Fini non mi ha permesso di stare, lui che ha distrutto un sogno».

Generatrice di molta invidia, molti pettegolezzi. E come evitarli se si passano le estati sullo yacht di Briatore, del quale la “Santa” diventa socia nel Billionaire, o a villa Certosa con Berlusconi. E poi la Versilia e il tendone arabo fisso al Twiga, di cui pure è socia. Con il look che fa impazzire i paparazzi: ray-ban a specchio da vera fascia, cappellone da cow-girl, copricostume animalier. Se non sono le spiagge della Versilia, sono le strade del lusso a Milano, dove gira per boutique con outfit da sfilata. Minigonne e tacchi altissimi. Ne ha una collezione che farebbe invidia a Imelda Marcos. «Tacco 12: filosofia di vita», è uno dei suo tweet più famosi.
Scala i giri che contano con una determinazione d’acciaio. Da quando, nel lontano 1983, l’anno dopo aver sposato appena 21enne il chirurgo Santanché, finì in tv in un programma Fininvest e dichiarò spavalda: «Mi piacerebbe fare il ministro». Come Tarzan passa da una liana all’altra, sempre verso l’alto. Conosce Cirino Pomicino e si aggrappa. Sarà lui a presentarla ad Andreotti e poi a Berlusconi. Nei salotti della Milano di destra inizia a frequentare quello che diventerà il suo vero sponsor politico: Ignazio La Russa. In attesa delle memorie di La Russa, bisogna raccogliere quelle di Pomicino. Che proprio a Repubblica fece della Pitonessa un ritratto agro. «L’episodio che meglio la racconta non c’entra con la politica. Negli anni Novanta organizzò un concorso di cucina e mi invitò a far parte della giuria, di cui lei era presidente. Mi trovai ad assaggiare un piatto e dissi: che schifezza. Santanché mi diede un cazzotto dietro la schiena: stai zitto che è il mio piatto. Chi vinse la gara? Lei. Fece consegnare il premio al compagno Mazzaro, il quale dopo la cerimonia mi disse: la tua amica non conosce la vergogna. Mi pare la frase che meglio la descrive».
I camerati, La Russa a parte, mal la sopportano. Per dirne una, quando nel 2010 si presenta per la prima volta in aula fresca di nomina a sottosegretaria da parte del Cavaliere, i deputati del centrodestra l’accolgono con una salva di fischi. Per Alessandra Mussolini era «una “super patata ogm”’ geneticamente modificata».
Odiata, detestata, ma sempre in prima pagina. Come su una copertina di quei rotocalchi di cui si era messa in testa di diventare editrice. Ma forse a questo punto vale la pena riferire come nacque quel soprannome di cui lei in fondo è sempre andata fiera: la Pitonessa. Fu il primo marito a svelare che tutto partì da una vecchia barzelletta sporca che lei amava raccontare («l’unica che sapeva»). Quella del coniglietto che va in un bordello per perdere la verginità e viene indirizzato nella stanza della pitonessa. La prostituta lo ingoia intero, ma poi viene costretta a risputarlo fuori. Il malcapitato, tutto bagnato e inebetito, esclama soddisfatto: «Bestia che p…!».