
(Di Antonio Esposito – ilfattoquotidiano.it) – Il fatto è noto: i carabinieri che a Milano parteciparono all’inseguimento del motoveicolo (che non si era fermato all’alt) nel corso del quale ha trovato la morte il giovane Ramy Elgami (seduto sul sellino posteriore del veicolo) sono stati iscritti dalla Procura di Milano nel registro degli indagati. Ciò ha provocato una dura reazione da parte del governo e di tutto il centrodestra, che ha subito proposto l’approvazione di una norma da valere quale “scudo penale” per gli appartenenti alle forze dell’ordine. È intervenuto, come sempre a sproposito, il Guardasigilli Carlo Nordio. Il quale ha dichiarato: “Se un carabiniere spara è automatica l’iscrizione nel registro degli indagati”, per poi aggiungere incredibilmente: “Ma essendo iscritto nel registro degli indagati reca con sé questo marchio di infamia” (sic!).
Va subito precisato che una norma che prevedesse un iter diverso nel senso auspicato dal governo sarebbe palesemente incostituzionale: contrasterebbe con il principio di uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge, in virtù del quale chiunque – ivi compresi gli organi costituzionali (sia pure a condizioni e con modalità differenti) – può essere sottoposto a giudizio per fatti previsti dalla legge come reato.
Va, inoltre, ricordato che nel nostro Codice penale è già prevista la scriminante dell’“uso legittimo delle armi” (art. 53), cioè una causa di non punibilità “propria” o “privilegiata” che si riferisce esclusivamente a quei pubblici ufficiali tra i cui doveri istituzionali rientra l’uso della coercizione fisica e, cioè, gli ufficiali e gli agenti della forza pubblica. La norma stabilisce che, “ferme le disposizioni contenute nei due articoli precedenti, non è punibile il pubblico ufficiale che, al fine di adempiere un dovere del proprio ufficio, fa uso, ovvero ordina di far uso delle armi o di altro mezzo di coazione fisica, quando vi è costretto dalla necessità di respingere una violenza o di vincere una resistenza all’Autorità”.
Si tratta di una vistosa deroga alle norme del diritto penale, dal momento che consente all’agente di usare armi e altri mezzi di coazione fisica con la conseguenza di accettare la possibilità che vengano compiuti atti penalmente rilevanti, quali l’omicidio e le lesioni.
La norma venne introdotta nell’ordinamento penale italiano nel 1930 con il Codice Rocco e, secondo l’opinione unanime degli studiosi di diritto penale, tale causa di giustificazione costituisce espressione della matrice autoritaria del Codice (tuttora in vigore): vale a dire la conferma, forse più probante dell’ideologico sbilanciamento, a favore del pubblico ufficiale, del rapporto tra Autorità e Libertà in quel periodo professato, così tanto distante da quello inteso prima dal Codice Zanardelli (che ignorava tale scriminante) e poi dalla Carta costituzionale.
Ci si ritroverebbe di fronte a una sorta di “scriminante di regime” che “rivela una chiara impronta autoritaria come comprova la non menzione della “proporzione” (così, fra i tanti, F. Mantovani, Manuale diritto penale 1988). In particolare, il mancato espresso riferimento della norma al requisito della proporzione avrebbe l’evidente funzione di privilegiare la condotta repressiva, attestando la supremazia di uno Stato autoritario verso il cittadino.
Ed è proprio per tali motivi che la Corte di Cassazione, operando una interpretazione restrittiva della norma, ha ritenuto necessaria per la sua applicazione la sussistenza della proporzionalità (principio generale insito nel sistema penale): “Ai fini della configurabilità della scriminante di cui all’art. 53 C.p., occorre che l’uso dell’arma costituisca l’estrema ratio e che tra i vari mezzi di coazione venga scelto quello meno lesivo e altresì graduato secondo le esigenze specifiche del caso nel rispetto del principio di proporzionalità” (ex multis, Cass. pen. n° 35962/2020).
Ne consegue che una norma che preveda l’immunità per proteggere gli agenti delle forze dell’ordine priverebbe il cittadino di ogni tutela a fronte non solo degli abusi in atti d’ufficio (reato già abrogato dalla “riforma Nordio”), ma anche delle violenze da parte delle forze dell’ordine. Ciò sarebbe inammissibile in un sistema democratico e aprirebbe la strada verso un regime di polizia.