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Chi è il più trumpiano del reame?

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La mossa di Meloni: a Washington con tre deputati di FdI. Salvini spiazzato. La premier conferma all’ultimo la presenza all’insediamento di Trump. La seguiranno Fidanza, Giordano e Di Giuseppe. La ritrosia per non indispettire von der Leyen, che non è stata invitata. Per la Lega ci sarà Paolo Borchia, capodelegazione all’Europarlamento

Giorgia Meloni e Donald Trump

(di Lorenzo De Cicco – repubblica.it) – Alla fine a Washington a omaggiare Donald Trump fresco di bis andrà Giorgia Meloni. Dunque non Matteo Salvini, che alla cerimonia d’insediamento del tycoon alla Casa bianca non è stato formalmente invitato (la “convocazione” era una, per il governo, in prima battuta naturalmente per la premier). Meloni non sarà da sola, alla rotonda del Campidoglio: ci sarà una folta delegazione di FdI.

Almeno tre deputati della fiamma, da quanto risulta a Repubblica, si accomoderanno con lei, nella sala al chiuso allestita dalla nuova amministrazione, causa temperature glaciali: ci sarà Andrea Di Giuseppe, deputato di FdI, vicino a Trump tanto da avere seguito la notte elettorale del 5 novembre in Florida. Ma anche Domenico Giordano, in qualità di segretario generale dei Conservatori, e Carlo Fidanza, europarlamentare dei Fratelli e vicepresidente esecutivo della famiglia sovranista europea. In quota Ecr, sbarcheranno dall’altro lato dell’Atlantico anche il neo-leader (e fresco successore di Meloni) Mateusz Morawiecki, ex premier polacco, e probabilmente anche l’altro vice George Simion, leader dell’ultra destra di Bucarest con la sua formazione “Alleanza per l’unione dei romeni”.

Una rappresentanza della Lega ci sarà, fa sapere una nota del partito. A partecipare alla cerimonia di insediamento di Donald Trump sarà Paolo Borchia, “il capodelegazione del partito al Parlamento europeo che sarà a Washington insieme agli altri esponenti del gruppo dei Patrioti”. Salvini, precisano dal Carroccio, avrebbe preferito “di rimanere in Italia alla luce di quanto sta emergendo sul fronte ferrovie dopo l’esposto del gruppo Fs e la denuncia per attentato ai trasporti confermata in queste ore. Ma con la promessa “di potersi recare negli Stati Uniti il prima possibile”.

Meloni ha tergiversato fino all’ultimo, sulla sua presenza alla cerimonia. Non si è sbilanciata durante la conferenza stampa del 9 gennaio a Montecitorio, a domande dirette dei cronisti. Ha fatto informalmente smentire le indiscrezioni della stampa americana, che ancora ieri mattina la davano tra i presenti. E ha confermato solo nella notte la trasferta. Perché tanta ritrosia? L’invito di Trump era arci noto da settimane. Sia quello informale, recapitato nello scambio tra i due leader a margine della cerimonia parigina per il restauro di Notre-Dame, il 7 dicembre scorso, sia quello formale della diplomazia Usa, confermato da Meloni proprio nella conferenza di dieci giorni fa.

Perché allora tanto mistero? Nella cerchia della premier, dove molti sono stati tenuti all’oscuro della decisione, c’è chi lega l’indecisione alla vicenda Santanché: il rinvio a giudizio della ministra del Turismo era nell’aria da mesi e ieri è arrivato puntuale. La premier avrebbe voluto riservarsi la possibilità di un avvicendamento a strettissimo giro, con la possibilità di far saltare il viaggio negli Stati Uniti per far giurare il nuovo ministro. Mentre a questo punto il possibile cambio al governo sarebbe rimandato a dopo l’Inauguration day. L’altra motivazione che circola nel giro della premier riguarda invece gli equilibri europei: Meloni avrebbe voluto raccordarsi con Ursula von der Leyen, che da presidente della Commissione non è stata nemmeno invitata al di là dell’Atlantico, per non far passare come uno sgarbo il suo volo oltreoceano.

Meloni ha sempre in testa di presentarsi come ponte fra la nuova amministrazione americana e Bruxelles e per farlo non può indispettire “vdL”. Alla cerimonia rischia di essere tra i pochissimi leader europei presenti: non ci sarà il britannico Keir Starmer, ma il leader brexit Nigel Farage e il populista francese di estrema destra Éric Zemmour. Ancora in forse l’ungherese Viktor Orbàn, socio di Salvini nei “Patrioti” dell’Ue. Il vicepremier leghista avrebbe voluto esserci. All’indomani della vittoria di Trump, annunciava un imminente viaggio, “entro fine 2024”, negli Usa. Non c’è stato. Poi ha iniziato a parlare dell’insediamento del 20 gennaio. Ma probabilmente sarebbe stato possibile solo in caso di forfait di Meloni. Salvo inviti all’ultimo minuto, grazie agli uffici dell’amico trumpiano Vivek Ramaswamy, perché al Campidoglio Usa non accettano di certo imbucati.


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