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L’egemonia culturale del vittimismo aggressivo

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FILE PHOTO: Italian Prime Minister Giorgia Meloni waits to welcome Ukrainian Prime Minister Denys Shmyhal before a reconstruction meeting for war-battered Ukraine, in Rome, Italy, April 26, 2023. REUTERS/Remo Casilli/File Photo

(di Francesco Merlo – repubblica.it) – Che cos’è il vittimismo aggressivo? Da dove viene la leadership del botto d’ira? Forse non c’è soltanto l’antico nel risentimento al potere che tende la corda del Paese, forse non basta l’album di famiglia del Msi con i suoi incendi emotivi che diventano cerimonie di riabilitazione nazionale. È vero che Trump, come l’abate Faria, ha scaldato il sangue caliente della Contessa di Montecristo, ma bisogna capire perché, dalla fregnaccia estiva del “complotto delle sorelle” al finto avviso di garanzia del procuratore Lo Voi, ogni volta che fa la “vittima”, Meloni sale nei sondaggi. Più si dichiara sotto attacco, ricattata, aggredita, qualche volta «in quanto donna», qualche altra perché vuole «migliorare l’Italia», più cresce il suo consenso.

L’essenziale è che ci siano sempre occhi ostili che spiano ora il suo capo di gabinetto, ora il ministro Crosetto, e poi gli uffici, la casa nuova, la figlia che porta con sé all’estero, il lavoro della madre. Meloni è sempre vittima, ma non piagnucola come le vittime di un tempo: aggredisce e attacca. E gli avversari, che lei degrada a nemici, diventano, malgrado loro, compari, da Lo Voi a Prodi sino a noi giornalisti radical chic. È troppo facile buttarla sul fascismo, sentire l’eco del complotto demo-pluto- giudaico-massonico, la cultura di destra studiata da Furio Jesi, il vittimario di Salò: «Le donne non ci vogliono più bene perché portiamo la camicia nera». Più attuale è lo studio, a tratti formidabile, di Daniele Giglioli, Critica della vittima (Nottetempo): «La vittima è l’eroe del nostro tempo». E ancora: «Il rancore vittimario dei vincenti, depositato in innumerevoli manifestazioni orali e scritte, è assurto a dignità di filone editoriale: contro la “sinistra”, contro “gli intellettuali”…, con un effetto di reiterazione ossessiva da rituale esorcistico».

C’è insomma una modernità in Meloni che agisce perché subisce, reagisce perché patisce, e nulla ha fatto ma tutto le è stato fatto. È aggressiva perché è vittima e dunque innocente per definizione. E la lingua italiana non va insegnata, ma va difesa nella scuola di Valditara. La mozzarella e la pizza oltre che da mangiare sono da tutelare. Il sovranismo protegge e risarcisce la pelle bianca offesa, i confini oltraggiati, le tradizioni dell’oliva e del cappero insolentite. Si capisce così che, probabilmente senza consapevolezza, il vittimismo aggressivo non è soltanto la macchina-cagnara che Meloni avvia in automatico urlando o esibendosi nello sberleffo delle famose faccine, mossette e vocine di reazione, nel linguaggio senza parole dei brividi e delle pulsioni, delle paure e degli umori. «Don’t Look at Me With Your Disturbing Eyes» fu il titolo che il Wall Street Journal pubblicò sopra la foto di Meloni che nascondeva il volto nella giacca durante il dibattito alla Camera. Il vittimismo aggressivo è Estetica e Etica. E forse è già egemonia culturale: «Non siamo ciò che facciamo, ma ciò che abbiamo subìto, ciò che ci hanno tolto».


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