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Meloni come Giacomo I. Che il potere ambisca ad operare legibus solutus è un affare antico

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(di Carmelo Sant’Angelo – Il fattoquotidiano.it) – Gli esperti dei sondaggi politici affermano che gli elettori premierebbero la “novità”. Sarebbe forse più corretto dire che il consenso bacia colui che viene percepito come “nuovo”. Squarciato, però, il “velo di Maya” dietro il sedicente “nuovo” compare immancabilmente la sagoma del marchese del Grillo.

Non è solo l’ombra dell’Egoarca a lumeggiare dietro le odierne pretese assolutistiche della maggioranza di governo, ma è un morbo italico che ha mietuto illustri vittime anche nel partito della “diversamente destra”. Come dimenticare il conflitto di attribuzione tra il Quirinale e la Procura di Palermo, rea di aver intercettato i dialoghi dell’ex ministro Mancino con il Capo dello Stato? Che il potere ambisce ad operare legibus solutus è un affare antico ed è proprio per questo motivo che sono nate, con funzione di argine, le Costituzioni.

L’esercizio dello ius corrigendi nei confronti dei magistrati conobbe analoga assertività agli inizi del 1600 in Gran Bretagna. Il re Giacomo I in vari discorsi (novembre 1605, successivo alla scoperta del Complotto delle Polveri; marzo 1607, relativo alla naturalizzazione degli scozzesi; marzo 1610, sul principio di consensualità parlamentare alla tassazione) difese l’intangibilità delle prerogative regie, appellandosi alla “mysticall reverence” propria della sovranità. Il Parlamento e i giudici della Corona, a parere dello Stuart, erano colpevoli di volersi attribuire il potere di definizione di tali prerogative.

Occorre ricordare che, in quel periodo, il Parlamento non era solo legislatore, ma anche e soprattutto giudice e “the King was the fountain of justice and Parliament was his court”. Spettava, pertanto, solo al Re dare una interpretazione autentica della legge. Nel discorso del 1616, riguardante il caso Bonham, Giacomo I andò oltre affermando l’esclusività regia nel dettare le direttive interpretative ai giudici. Essi avrebbero dovuto attenersi ad un’interpretazione letterale della legge attenendosi allo “ius dicere non dare”.

Ad opporsi alle pretese regali intervenne sir Edward Coke, Chief Justice della Court of Common Pleas, fautore del principio dell’assoluta indipendenza dei giudici da qualsiasi forma di condizionamento da parte della Corona.

Nel citato caso Bonham la posizione “eretica” del giudice Coke fu ravvisata nell’affermazione secondo cui una legge contraria al common law è repugnant e pertanto void, cioè invalida. Questo il caso concreto: Thomas Bonham, laureato in medicina a Cambridge, nell’aprile 1606 fu esaminato dal Royal College of Physicians, che lo ritenne insufficiente nella teoria medica, comminandogli una multa di 100 scellini e l’interdizione ad esercitare la professione, pena l’imprigionamento. Bonham continuò, invece, a professare la medicina e, per questo, fu imprigionato. Propose appello al Common Pleas, dove Sir Edward Coke lo prosciolse perché le leggi avevano dato al citato College il potere di sanzionare i praticanti che non avessero la licenza, nonché di imprigionare i praticanti, ma solo per malpractice.

Particolarmente rilevante fu tuttavia un’altra osservazione: le leggi avevano dato al Collegio il potere di agire sia come giudice che come parte e questo era “un’assurdità”, era contrario al “common right and reason, or repugnant or impossible”. Accanto al primato della legge fu statuito, dunque, anche l’assoggettamento della stessa al “diritto comune e alla ragione”.

Nello stesso anno un’altra decisione di Coke fece storcere il naso al sovrano; nel caso delle Proclamazioni affermò che il re non aveva altre prerogative se non quelle concesse dalla legge del Paese. Quale fu la fine del magistrato? Dapprima fu trasferito alla carica di giudice capo della King’s Bench, dove si riteneva che avrebbe potuto fare meno danni, ma, in data 14 novembre 1616, quando dichiarò illegale una lettera reale, fu cacciato dalla magistratura.

Dopo quattro secoli “si credono – ancora – potenti e gli va bene quello che fanno e tutto gli appartiene”.


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