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Riaprire il dibattito sui soldi alla politica

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In tanti sono stati indagati e poi assolti, la presunzione di innocenza vale sempre. Ma il finanziamento dei partiti e dei candidati è l’anello debole del nostro ordinamento

Riaprire il dibattito sui soldi alla politica

(FLAVIA PERINA – lastampa.it) – Sarebbe facile cavarsela con una delle tante formule retoriche elaborate negli anni dalla politica e dai commentatori. Aspettiamo gli sviluppi, aspettiamo la versione della difesa, il processo, l’appello, la Cassazione. Tanti governatori indagati e poi assolti. La presunzione di non colpevolezza deve valere sempre. Frasi che hanno un fondamento ma che cominciano a sembrare insufficienti e usurate, come successe tanti tempo fa ai giudizi sulle mele marce e i mariuoli. Dopo Bari, Torino, Palermo, è Genova ad affondare nelle sospette commistioni tra politica, affari, voti e persino clan mafiosi, sull’onda di un’inchiesta che colpisce al cuore l’amministrazione regionale attraverso il presidente Giovanni Toti e il suo capo di gabinetto Matteo Cozzani.

Innocenti, tutti, fino a sentenza di terzo grado che dica il contrario. E tuttavia tutti in bilico su due domande che la politica dovrebbe affrontare in fretta. La prima: qual è il modo corretto, trasparente, democratico, di rapportarsi con i propri finanziatori? Al di là del codice penale, non disturba l’idea che per qualche migliaio di euro le istituzioni si assoggettino a pretese ineludibili su beni comuni, appalti, concessioni? Un conto è cercare risorse nel privato per finanziare una campagna elettorale, altro conto è la modalità corrente: patti do-ut-des che vincolano le scelte pubbliche agli interessi di chi è capace di aprire il portafoglio quando serve (o peggio: a chi sposta voti con uno schiocco di dita, una prerogativa delle mafie).

La seconda domanda riguarda la percezione di sè delle nostre classi dirigenti. Nel caso ligure come in tantissimi precedenti, Puglia compresa, emerge un’irresistibile fascinazione per un’idea di lusso da influencer di periferia: le barche col cameriere in guanti bianchi e i massaggi nel super-hotel di Montecarlo, le notti gratis al casinò, il gioiello o la borsa firmati da regalare a chissà chi, la prima fila al Master di tennis o il buffet con l’aragosta al matrimonio della figlia. Possibile che dirigenti dal potere enorme, persone al culmine delle loro personali carriere, abbiano così poco senso del ruolo da risultare suscettibili a benefit tanto modesti?

La nuova fase politica in cui l’Italia è entrata nel 2022 dovrà prima o poi affrontare questi interrogativi. La destra che oggi governa ha un profilo legge-e-ordine che non può esaurirsi nel giro di vite contro i rave party, le rom incinte o le baby gang. È arrivato il momento delle risposte sul tema soldi e politica, soldi ed etica pubblica, oltre il mantra della “giustizia a orologeria” che ha dominato la stagione precedente, quando i problemi di Silvio Berlusconi furono lo scudo che esentò un mondo intero dall’interrogarsi sul tema della corruzione. E anche dall’altra parte, a sinistra e nell’area grillina, dovrebbe ormai essere chiaro che le manette costituiscono un deterrente irrilevante a certe torsioni della legalità. Persino la legge Severino, con le sue disposizioni draconiane e l’introduzione del reato di traffico di influenze, non è affatto lo spauracchio che si immaginava ai tempi della sua approvazione: viene sfidata ogni giorno, come un ordinario rischio d’impresa.

È vero. Tanti governatori sono stati indagati e poi assolti. La presunzione di innocenza deve valere sempre. Il tempo è galantuomo. Ma è evidente che il finanziamento dei partiti e dei singoli candidati risulta, ancora una volta, l’anello debole della nostra democrazia a tutte le latitudini geografiche e politiche. Bisognerà metterci un po’ di pensiero oltre i contrapposti riflessi sul “sistema Genova” o sul “sistema Puglia”. Bisognerà interrogarsi sul “sistema Italia” incardinato dopo l’abolizione del finanziamento pubblico, che doveva moralizzare la politica ma è riuscito a generare scambi ancora più odiosi, creando sospetti addirittura sulla regolarità di certi risultati elettorali. Bisognerà, soprattutto, affrontare l’evidente emergenza con un’azione politica all’altezza. «Aspettiamo gli sviluppi dell’inchiesta», arrivati a questo punto, comincia a suonare come una frase fatta, che non coglie più il nocciolo della questione.


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