
(Stefano Rossi) – La vicenda della signora Barbara D’Astolto, hostess, che venne molestata sessualmente dal sindacalista della CISL, tale Raffaele Meola, merita un commento.
L’imputazione era in forza dell’art. 609, bis, I, III, comma, c.p., il quale prevede: “Chiunque, con violenza o minaccia o mediante abuso di autorità costringe taluno a compiere o subire atti sessuali… Nei casi di minore gravità la pena è diminuita in misura non eccedente i due terzi”.
Il terzo comma riguarda gli atti meno gravi di una violenza sessuale; quelli che una volta si chiamavano atti di libidine.
Il primo comma, invece, prevede (impone?) che gli atti sessuali contro una persona debbano avvenire con violenza, minacce o abuso di autorità. Altrimenti, per i giudici, non ci sono violenze sessuali.
Mentre le prime due ipotesi sono piuttosto facili da dimostrare (violenza-minaccia), la terza (abuso di autorità) risulta essere difficile da inquadrare, almeno secondo i giudici che, in primo grado e nel secondo, hanno mandato assolto l’imputato in questione.
La signora D’Astolto si era recata presso il sindacato per farsi assistere proprio per problemi che subiva sul luogo di lavoro. Ella, come capita a tutti i lavoratori con problemi, si affidava ad un luogo e persone che riteneva fidati e degni di raccogliere i suoi personalissimi problemi.
Leggiamo dalla sentenza di appello cosa successe nella sede della CISL: “”fatta accomodare nella saletta della sede dell’associazione sindacale… e mentre ella narrava i problemi lavorativi sfogliando la documentazione che aveva con sé, l’uomo si era alzato, aveva chiuso la porta … le aveva posto le mani sul collo e dicendole di sfogarsi… e di rilassarsi, le aveva baciato il collo; aveva quindi preso a massaggiarle la schiena, giungendo a toccarle il seno e infine le aveva infilato le mani nello slip … La persona offesa, dopo un lasso di tempo che ella ha individuato in cica venti – trenta secondi, lo ammoniva chiedendogli cosa stesse facendo”.
Quel lasso di tempo (20/30 secondi, che poi sono frutto di un ricordo di chi era in profondo stato di stress, pericolo, disorientamento), avrebbe un valore decisivo, sia per il Tribunale di Busto Arsizio che per la Corte di Appello di Milano. Difatti, hanno scritto, nelle sentenze, che la donna aveva continuato a leggere la documentazione mentre lui la toccava e la baciava come se fosse, secondo loro, propensa a quelle attenzioni.
La ratio della decisione della Corte di Appello di Milano è la seguente. Esclusa la violenza e le minacce, che effettivamente non ci sono state, rimaneva il terzo requisito, quello dell’abuso di autorità, ed ecco come hanno ragionato.
“Non è, ad avviso del Collegio, quanto avvenuto nella vicenda in esame, ove difetta la sussistenza del rapporto autoritario, da intendersi quale “rapporto tra più soggetti, sostanzialmente caratterizzato dal fatto che colui che riconosce l’autorità di chi la esercita subisce, senza reagire, gli atti che ne derivano“.
Perché alla base del ragionamento, non è il lasso di tempo in sé, quanto il fatto che la donna abbia continuato a leggere le carte mentre quello la tastava. E chi tastava non lo faceva in quanto “autorità”, cioè, persona che può esercitare una forza morale, volitiva, psicologica sull’altra persona che subisce, senza reagire, proprio per il ruolo svolto dal primo.
“Nella vicenda in esame, è un fatto che la posizione di ‘preminenza’ dell’imputato – quale sindacalista – non si erge neppure a mera eventualità… Ancora, da una piana scansione delle evidenze processuali emerge come l’imputato non abbia adoperato alcuna forma di violenza – ancorché si sia trattato, effettivamente, di toccamenti repentini -, tale da porre la persona offesa in una situazione di assoluta impossibilità di sottrarsi alla condotta posta in essere. Né, ad avviso del Collegio, può sussistere l’ipotesi di atti sessuali repentini aventi rilevanza penale in quanto compiuti improvvisamente all’insaputa della persona destinataria -, e ciò in quanto la parte civile ha precisato come “i toccamenti e i baci, principiati da un mero massaggio sulle spalle, siano poi stati protratti per un tempo di circa trenta secondi, in cui ella aveva continuato a sfogliare e a leggere i documenti””.
Tradotto: siccome colui che pomiciava, baciava lascivamente non era in una posizione dominante, e la donna non ha reagito immediatamente, allora non c’è consumazione di reato.
Due considerazioni su questo sproloquio assurdo.
- La Corte ammette che: “si sia trattato, effettivamente, di toccamenti repentini”; ma
- siccome la donna continuava a leggere mentre quello la toccava e baciava, non c’è rilevanza penale “in quanto compiuti improvvisamente all’insaputa della persona destinataria” (?). Qui, francamente, ci vorrebbe uno psichiatra.
Poiché il tizio si è alzato all’improvviso ed ha cominciato a toccarla, ai giudici, non viene in mente lo stato emotivo della donna che si reca presso un luogo deputato, per legge, a tutelare gli interessi dei lavoratori, si trova chiusa dentro un ufficio con un uomo, il quale, tutto si può immaginare meno quello che cominci a metterle le mani addosso. No.
La loro attenzione è tutta su quei 20/30 secondi riferiti dalla donna non sulle mani che entrano nei vestiti della donna!
Si concentrano sulla vittima e non sul carnefice.
Guardano come deve reagire la donna non quello che deve fare un sindacalista di fronte ad una lavoratrice che sta esponendo un caso di mobbing!
I giudici ritengono che la rilevanza penale si basa sulla reazione della vittima di violenza sessuale con un cronometro in mano, evidentemente. Se avesse reagito subito, forse, si poteva configurare qualcosa. Ma ha fatto passare 20/30 secondi.
Troppo tardi.
Ai giudici non passa per il cervello che una persona, per educazione, rispetto, vergogna ma, soprattutto, per sorpresa e fatto del tutto inaspettato, possa reagire solo dopo aver realizzato, e superato, un momento di totale stress e incredulità.
Per fortuna, la Cassazione, ha annullato con rinvio questa vicenda affinché i giudici rivedano il processo sulla base delle indicazioni che, al momento, in assenza della sentenza, non posso illustrare.
Ma è già un bel passo avanti.
Lo s-ragionamento dei giudici di prime cure mi ha fatto venire in mente la canzone di Jannacci. “Se me lo dicevi prima”.
“Ho capito ma se me lo dicevi prima
Come prima?
Ma sì se me lo dicevi prima
Prima quando
Ma prima no?
Eh, prima si prendono dei contatti…”.
(Anche la povera signora D’Astolto doveva reagire prima. Ma prima quando? eeeh, prima, prima…non dopo, prima. Ma quello toccava! Baciava! Si, si, ma tu, prima non dopo. Così mi sembra che abbiano ragionato i giudici).
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Il problema, poi, nasce dalla riforma delle norme sulla violenza carnale e atti di libidine, i quali, a parte la posizione nel codice penale (non erano tra i reati contro le persone bensì in quelli contro la morale), andavano a dividere le vere violenze tra gli atti lascivi che, per la loro rilevanza, sono comunque giudicati meno gravi.
Oggi, questa differenza non c’è più. Sono tutte violenze sessuali. E questo può essere un problema.
Basterebbe il buon senso a superare l’errore commesso.
Ma se poi manca pure quello…