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Il governo casual del “Chiamatemi soltanto Giorgia”

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(di Silvia Truzzi – ilfattoquotidiano.it) – Appena insediata Giorgia Meloni aveva spiegato che bisognava riferirsi a lei come “il signor presidente del Consiglio”, ma ora ha cambiato idea: si può darle serenamente del tu e anzi lei è contenta, chiamatemi Giorgia e siamo a posto così. C’è da fare l’Italia (e le Europee da vincere), il governo del fare non ha tempo per le buone maniere e i minuetti. Così il cognato dei Fratelli d’Italia ferma i treni per non arrivare in ritardo e il ministro della Giustizia commenta l’operato dei magistrati nella vicenda Toti mentre si appresta a manomettere l’ordinamento giudiziario, separando le carriere. È tutto un po’ così, pratico e informale: se la forma andasse ancora un po’ di moda, un ministro della Giustizia – membro dell’esecutivo – ben si guarderebbe dal commentare a caldo l’operato della magistratura (tanti cari saluti a Montesquieu).

In questa svolta casual-elettorale non poteva mancare – ieri pomeriggio alla Camera – il convegno sulla madre di tutte le riforme: La Costituzione è di tutti. Dialogo sul premierato. L’incontro è stato organizzato dalle fondazioni De Gasperi e Craxi, presiedute rispettivamente da Angelino Alfano e Margherita Boniver, e più che un’assise a tema costituzionale sembra il bar di Guerre stellari. Sono stati invitati a partecipare manager pubblici e privati, giornalisti, sportivi, cantanti, attori, rappresentanti di associazioni di categoria, sacerdoti. Tanto che il Messaggero poteva titolare “Premierato, confronto con la classe dirigente” (giusto per capirci, figurano tra gli invitati: l’ad di Webuild Pietro Salini, Marco Hannapel di Philip Morris, Giampaolo Angelucci presidente della finanziaria Tosinvest, il presidente dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro, Rosario De Luca, i manager delle controllate energetiche e di altre partecipate pubbliche come Anna Lambiase di Cdp Venture Capital e Gabriella Alemanno, sorella di Gianni e consigliera di Consob, il presidente di Fincantieri Claudio Graziano; don Maurizio Patriciello di Caivano e don Antonio Coluccia di Tor Bella Monaca; e ancora: i giornalisti Antonio Polito e Massimo Giletti, il professor Galli della Loggia, il produttore cinematografico Tarek Ben Ammmar, Salvo Nastasi, il nuotatore Filippo Magnini, la schermitrice Elisa Di Francisca, la cantante Iva Zanicchi, l’attrice Claudia Gerini. Pino Insegno forse non poteva).

E chi parla di Costituzione a questa bizzarramente assortita platea? L’introduzione è affidata ai due presidenti Alfano e Boniver, i saluti istituzionali al presidente della Camera Lorenzo Fontana e alla ministra delle Riforme Maria Elisabetta Alberti Casellati, la discussione a giuristi e politologi tra cui Luciano Violante, Giovanni Orsina e Francesco Clementi. In chiusura lei, solo Giorgia: più che un dibattito, un plebiscito. Una nota di Palazzo Chigi spiega le ragioni di questo necessario “confronto con i cittadini”: “Poiché l’instabilità dei governi indebolisce una Nazione nelle relazioni internazionali e in economia l’intento è sottolineare che le riforme istituzionali, premierato incluso, non sono conflittuali rispetto ai principi fondanti e agli obiettivi della nostra Costituzione (che infatti disegna una Repubblica parlamentare, ndr)”. La solita minestra sulla stabilità e l’economia, sentita e risentita a ogni giro di giostra dei vari neocostituenti. Ieri però era soprattutto il giorno in cui al Senato iniziava la discussione generale sull’elezione diretta del presidente del Consiglio. Ma certo discutere di riforme in Aula con deputati e senatori è roba polverosa e vecchia (come la Costituzione), meglio un party con manager, nuotatori e attori. Silenzio, parla “soltanto Giorgia”. Il Parlamento seguirà.


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