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La propaganda di Israele, la ribellione e la verità

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(Tommaso Merlo) – La guerra si combatte anche con la comunicazione e la propaganda è un pilastro di ogni regime. La fiaba che Israele racconta da sempre è stranota, la loro sarebbe legittima difesa e non illegittima offesa. Vittime, non carnefici. Una democrazia liberale modello circondata da terroristi arabi, un avamposto occidentale da proteggere per il bene di tutti. L’opposto della realtà. Eppure è la narrazione prevalente grazie alla quale Israele è sempre riuscito a compiere ogni nefandezza senza mai risponderne e senza mai perdere il pieno supporto occidentale. Un’impresa davvero impressionante che si deve ad un vero e proprio sistema. La lobby pro Israele finanzia le campagne elettorali dei politici di punta in modo che una volta nei palazzi non gli venga manco in mente di leggersi due righe sulla storia palestinese o farsi un giro oltre il muro della vergogna, ma continuino a ripetere le veline del governo israeliano. La lobby pro Israele controlla poi direttamente l’informazione o attraverso la proprietà delle testate o grazie al sostegno di giornalisti affiliati che operano nei giornali e nelle televisioni. Il conformismo a fini carrieristici fa poi il resto perché chiunque osi discostarsi la paga cara. Ma Israele è da sempre attiva anche a livello istituzionale. L’Ambasciatore israeliano all’ONU che straccia documenti per protestare contro i recenti passi avanti nel riconoscimento dello stato palestinese, è emblematico di un sistema propagandistico che lavora da sempre in tutti i centri cruciali di potere e di un sistema che non solo promuove la causa israeliana ma che allo stesso tempo ostacola quella palestinese. Una guerra comunicativa ed istituzionale parallela altrettanto cruciale. Dall’Occidente dipendono infatti soldi ed armi per perpetrare l’occupazione che potrà compiersi appieno solo se lo Stato Palestinese non nascerà. Ma l’Ambasciatore israeliano all’ONU che straccia documenti è anche sintomo di nervosismo perché sta cambiando il vento. Il governo neofascista di Netanyahu ha superato il livello di decenza risvegliando una coscienza civile che sembrava assopita e questo mentre la propaganda tradizionale fa acqua da tutte le parti. La strage infinita di giornalisti a Gaza come in tutta la Palestina e la brutale recente chiusura di un network internazionale come Al-Jazeera in Israele, sono tutti segnali di quanto sia cruciale la comunicazione ma anche di disperazione. Israele non accetta che emerga una storia differente da quella che ha sempre raccontato, non accetta la verità. Ma a fare la storia oggi sono i social media, è l’informazione che passa da cittadino a cittadino in tutto il mondo senza nessun filtro e quindi senza possibilità di manipolazione propagandistica. Davvero un nuovo paradigma. Cosa sta succedendo in Palestina non è più raccontato dal Ministro dell’Interno israeliano e ripetuto alla lettera da media allineati e politicanti asserviti, ma è raccontato dalle vittime civili dei bombardamenti e spesso addirittura in diretta. I social media sono diventati poi strumenti attivi di divulgazioni di contenuti politici alternativi e tradizionalmente censurati oltre che di ribellione. Con piattaforme come TikTok – non a caso al bando negli Stati Uniti – che permetto alle vittime di Gaza sia di avere un palco globale che di raccogliere fondi e questo mentre dall’altra parte del mondo la protesta studentesca condivide le sue ragioni e lancia iniziative come quella di bloccare tutte le celebrità che non condannano il genocidio o promuovono nuove app per boicottare prodotti israeliani nei supermercati. Mentre nel mondo ricco politicanti e giornalisti si scrutano il lercio ombelico nazionale, in rete si esprime una nuova coscienza collettiva globale refrattaria ad ogni forma di propaganda, incontrollabile e che sta raggiungendo risultati concreti. I sondaggi dicono che la mummia di Biden rischia di tornare nel sarcofago perché non c’è mezzo giovane disposto a votarlo mentre gli influencer del nulla perdono milioni di followers e quindi di dollari. Netanyahu ha dichiarato che le proteste studentesche americane gli ricordano quelle in Germania negli anni 30, deliri di un tiranno di latta da secolo scorso che sta rendendosi conto che la situazione gli sta sfuggendo di mano. Un tiranno imbesuito dal proprio ego che rispolvera uno dei classici della propaganda sionista, lo sfruttamento ipocrita e ad orologeria dell’antisemitismo. La parte più avanzata e libera del mondo ebraico è disgustata dal governo neofascista di Netanyahu e chiede giustizia e libertà per i palestinesi. In Israele come in tutto il mondo. Atro che paladino, il sionismo è il principale nemico della causa ebraica. Ma i regimi usano da sempre la propaganda anche a fini interni, per divedere ed aizzare, per scatenare odio contro nemici veri e presunti e stringere le fila. Israele è una realtà complessa e il progetto sionista si basa su contrapposizioni esasperate ad arte e sul lavaggio del cervello delle nuove generazioni. Le nuove leve vengono programmate in modo che quando toccherà a loro porteranno avanti il vessillo giudaico. Fin dalla tenera età vengono inculcati paura e odio e perfino la religione viene manipolata in modo da spacciare credenze come verità da imporre agli infedeli e prevenire ogni sostanziale dissenso in futuro. Prassi da secolo scorso e dagli esiti altrettanto tragici. Ma ad avere paura della verità e bisogno di propaganda, sono anche i regimi stessi. La propaganda serve ai gerarchi e ai loro complici per perpetrare atrocità e dormire serenamente la notte, serve per trovare giustificazioni all’odio e al compimento di ogni nefandezza in nome di uno stato di emergenza permanente. Quando tutto crollerà anche in Israele, assisteremo alle celebri scene degli artefici dei regimi increduli per il loro stesso operato. Già, la guerra si combatte anche con la comunicazione e la propaganda è un pilastro di ogni regime. La fiaba che Israele racconta al mondo da decenni non regge più e la verità sta trovando nuovi modi per emergere. Il popolo palestinese ha diritto di giustizia e libertà e l’indecente complicità occidentale deve finire.


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